Friday 19 September 2014

Come sabbia tra le dita


Ci scappa quando vorremmo assaporarlo lentamente, ed è inesorabilmente lento quando vorremmo ci portasse subito a destinazione.
Il tempo non è mai lo stesso. Il mio non è il tuo, e il mio di oggi non è lo stesso di ieri né sarà uguale a quello di domani. Un rapporto controverso, di odio e amore, che in genere cambia in occasione di eventi importanti della vita, come la nascita di un figlio, il lavoro, problemi di salute, un trasferimento. E non puoi farci niente, puoi solo imparare a gestirlo.

Un espatrio ti porta a confrontarti, tra le altre cose, anche con il tempo, e a trovare con esso un nuovo inedito rapporto. Prima l’ansiosa attesa del fatidico giorno. E poi nuovi ritmi, nuove albe e nuovi tramonti.
Le giornate hanno una durata diversa da questa parte del mondo.
Dodici ore scarse di luce al giorno praticamente per 365 giorni l’anno non sono così tante, soprattutto se calcoli che uffici, esercizi e attività pubblici chiudono tra le 4 e le 5 del pomeriggio.
Anche questo è stato il mio shock culturale. Mettere a letto i bambini alle 7 di sera, farli cenare spesso da soli, e considerare chiusa la giornata alle 10. Faccio fatica a condividere certe abitudini, anche se so che per integrarsi conviene sforzarsi, prima o poi.



Nella nostra vita precedente, perché è così che penso a quando eravamo in Italia, era tutto estremamente diverso. Il mio tempo era diverso. Lo odiavo, scappava via come un ossesso, non mi lasciava possibilità di scampo. Si portava via tutte le attenzioni per mio figlio che custodivo con tanta cura e che cullavo per “quando avrò tempo”, e poi quando finalmente mi si concedeva, correva senza lasciarmi possibilità di replica. Si è portato via momenti che avrei voluto assaporare più lentamente, ed ha reso eterni altri che invece avrei voluto trasformare subito in ricordi lontani.
Nella nostra vita precedente per stargli dietro al tempo escogitavamo mille stratagemmi, far la spesa in un’ora di pausa pranzo, pagare le bollette on-line alle 11 di sera col pc in mano ed un occhio ancora aperto mentre l’altro stava già chiuso sul cuscino. Le partenze tattiche il venerdì sera dopo lavoro per andare dai nonni il weekend, “così poi abbiamo almeno un giorno senza autostrada”. Le corse per prendere la mia piccola belva dopo un’intera giornata all’asilo, sempre penultimo. - So che non è carino, ma in cuor mio ho sempre ringraziato la mamma del bimbo che rimaneva ultimo, mi aiutava a sentirmi un po’ meno in colpa. Mi sentivo ancor meglio quando arrivavamo assieme ed era gran festa.
Nella nostra vita precedente eravamo, nonostante tutto, padroni del nostro tempo e dei nostri spazi.


Nella nostra vita di adesso ci stiamo lavorando.
Nuovi ritmi di lavoro, totalmente opposti, ci portano a vivere due vite agli estremi, che finiscono per ricongiungersi poi la sera, in una serie di rituali familiari diventati ormai essenziali e vitali come l’aria.
Nella nostra nuova vita a tre trascorriamo settimane di fiato sospeso, week-end che praticamente non esistono, per poi lasciarci andare, ogni cinque settimane, riprendere aria nei polmoni e luce negli occhi.
La ciclicità è un’esperienza che non avevo mai vissuto così intensamente come nell’ultimo anno. Tutto è scandito da cicli. Da attese, inizi e fini, e poi di nuovo inizi.
Il tempo è diventato un giocoliere e noi siamo le tre palline colorate con cui gioca.

L’essere a casa e non avere un lavoro fisso (qui si dice “Stay-at-home-mum”- Non amo dare spiegazioni, mi limito a dire che il nostro equilibrio familiare al momento sta bene così) mi permette di organizzare il mio tempo come preferisco. Ho circa sei ore libere al giorno durante la settimana, e finisco sempre per rimandare a domani quello che non mi piace fare, esattamente come quando lavoravo. Riesco a dedicare più tempo a me stessa, anche se non mi sembra mai abbastanza (la me di un paio d’anni fa mi manderebbe un bel vaffa!). Ora posso trascorrere i pomeriggi con mio figlio, decidere all’ultimo cosa fare, leggere, colorare, andare in piscina o chiamare a casa qualche amico. Ora mi rendo disponibile a prendere i suoi amici da scuola quando i genitori non possono. Mi sembra un sogno, rendermi utile, proprio io! Quando negli anni passati toccava sempre a me chiedere favori, incastrare persone ed orari come in un puzzle.
Ora mi è concesso il tempo per cucinare (o meglio imparare a farlo), il tempo per scrivere (questo blog non sarebbe mai potuto esistere nella mia vita precedente), e il tempo per pensare. E poi dormo, mi permetto il lusso di andare a dormire alla stessa ora del lavoratore di casa che si sveglia alle 5am, mentre io proseguo ancora per un paio d’ore. Sto facendo la scorta di sonno, almeno risparmio in crema antirughe!

Trovarsi nell’emisfero australe a otto ore di differenza d’orario rispetto all’Italia, ha cambiato anche il tempo che dedico alle persone che facevano parte della mia vita precedente, e forse ancor di più il tempo che loro dedicano a me.
Ho sempre cercato di relativizzare l’importanza di questa differenza d’orario, ma sono arrivata ad arrendermi all’evidenza. Otto ore e mezzo (sette ore e mezzo quando in Italia vige l’ora legale) sono quasi un’intera giornata. Quando io mi alzo in Italia la gente va a letto, durante la settimana chi lavora c’è già da un po’. E quando io vado a letto in Italia la gente sta ancora digerendo il pranzo. Così per riuscire a fare due chiacchiere senza puntare la sveglia in piena notte bisogna prendere appuntamento, spesso il weekend o a orari improbabili.
E io sto iniziando ad odiare gli appuntamenti telefonici. Spesso dimenticati, saltati, rimandati. La linea cade, non ci si può vedere in videochiamata, riproviamo tra un po’, vabbè dai ci sentiamo un’altra volta.

La curiosità dei primi tempi pian piano svanisce e saperci lontani è diventata la normalità.
Non è semplice stare qua sapendo che dall’altra parte del mondo la vita va avanti, e che a volte è generosa altre volte un po’ meno, e tu sei qua. Non puoi farci niente. Anche questo fa parte della vita da expat, ed è credo la parte più dolorosa.

La mattina o a pranzo, quando sono sola, pagherei oro per fare due chiacchiere in santa pace. E invece finisco per stare al telefono mentre preparo la cena, con una mano il guanto da forno e nell’altra il mestolo sporco di pomodoro. Quando Tobia è stanco dalla giornata e si sta trastullando con qualche disegno o con qualche cartone animato e non ha voglia di parlare con nessuno. Magari proprio mentre torna a casa il nostro lavoratore e avremmo voglia di salutarci con calma visto che le ore a nostra disposizione sono poche. Ma questa nuova vita impone dei compromessi e questo è uno di quelli.
Come se non bastasse in questa casa non abbiamo la linea adsl (###@@!!!) quindi devo usare internet dal mio cellulare, che molto spesso si rifiuta di sostenere videochiamate e a volte anche semplici telefonate.

E così il tempo scorre, a volte corre a volte si trascina.

8 comments:

  1. Grazie per il racconto. Cercherò di farne tesoro!

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    1. Bhe.. Tu prendi solo i lati positivi di quello che scrivo ok?! ;)

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    2. Si, si! Morale alto e nervi saldi: voglio il mio viiiiiistoooooooo!!!! ;)

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  2. Quello che hai scritto tu, potrei averlo scritto io. Nonostante ci si trovi in due nazioni diverse, i ritmi e soprattutto il cambiamento di vita sono davvero simili. Ci sono meno ore di differenza dall'Italia, ma il problema sussiste con mia sorella, che da Melbourne è passata a Sydney.
    Da qualche mese abbiamo una connessione veloce e devo dire che è stata molto di aiuto, per le telefonate Skype di cui parli. È terribile quando si ha voglia di parlare con qualcuno di caro e non è possibile.
    Il tempo è la mia ossessione. Amore e odio.
    Un abbraccio carico di solidarietà e affetto.

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    1. Io aspetto con ansia la connessione veloce... O forse facciamo prima a cambiare casa!

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  3. Hai ragione su quanto cambia il concetto di tempo in queste nostre nuove vite.
    p.s.:senza adsl io sarei già impazzita!

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